TRUFFE ON LINE – AGGRAVATE DALLA MINORATA DIFESA

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Articolo tratto da Giurisprudenza penale

Cassazione Penale, Sez. II, 14 ottobre 2016 (ud. 29 settembre 2016), n. 43705
Presidente Gallo, Relatore Sgadari

Con questa interessante pronuncia la Suprema Corte si esprime per la prima volta sulla configurabilità dell’aggravante della c.d. “minorata difesa” in un caso di truffa commessa online.

Il principio in questione è particolarmente interessante perché casi analoghi a quello in esame sono ormai molto frequenti, dato il diffondersi delle varie forme di commercio elettronico, con gli specifici consistenti rischi che queste, spesso, comportano.

Il Tribunale del Riesame di Brescia aveva annullato un’ordinanza del GIP di Bergamo che aveva applicato all’indagato la misura della custodia cautelare in carcere in relazione a diversi episodi di truffa, tutti eseguiti con le medesime modalità: dopo aver inserito su vari portali internet annunci di vendita di cellulari o di personal computer, l’indagato si accordava per concludere l’affare e incassava somme di denaro che gli venivano bonificate o versate su carte prepagate, senza poi provvedere alla consegna di quanto promesso. Il GIP di Bergamo aveva ritenuto integrati tutti gli estremi del reato di truffa, peraltro aggravata ai sensi dell’art. 640 comma 2, n. 2 bis c.p., per essere stata commessa profittando di circostanze di luogo e di tempo tali da ostacolare la privata difesa.

Il Tribunale di Brescia, tuttavia, dopo aver correttamente rilevato che la possibilità di applicare la misura cautelare dipendeva esclusivamente dalla sussistenza dell’aggravante, concludeva che, nel caso di specie, quest’ultima non riteneva potersi ritenere integrata. Notava in particolare il Tribunale che, nei fatti di cui all’imputazione, non poteva ravvisarsi una particolare vulnerabilità delle vittime, dalla quale l’agente avesse tratto consapevolmente un vantaggio. Avverso tale decisione il Pubblico Ministero decideva di ricorrere, e con la pronuncia in esame la Suprema Corte ne accoglieva il ricorso.

La motivazione della decisione è particolarmente interessante perché la Cassazione ne approfitta per effettuare una compiuta ricostruzione delle condizioni a cui può ritenersi integrata l’aggravante di cui all’art. 61 comma 1 n.5 c.p. (cui fa riferimento l’art. 640 co 2 n. 2-bis c.p.). Nota infatti la Corte che tale circostanza può ritenersi integrata, alternativamente, quando sussiste una delle tre situazioni ivi descritte, e cioè che l’agente si approfitti di circostanze, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, che siano relative al tempo, al luogo o alla persona.

Nel caso oggetto del ricorso era stata specificatamente contestata con riferimento al luogo e al tempo, senza che venissero in rilievo le condizioni della persona, motivo per cui non può condividersi – secondo la Corte – la motivazione addotta dal Tribunale per escluderne la sussistenza.

Le circostanze di persona che possono aggravare il reato, infatti, consistono solitamente in uno stato di debolezza fisica o psichica, quali, ad esempio, l’età avanzata o l’eventuale handicap fisico o psichico della vittima (così ad esempio Cass., sez. II, n. 8998/2014; Cass., sez. II, n. 29499/2009). Ma è evidente che, nel caso in esame, tali circostanze non vengono in rilievo, anche perchè la particolare situazione di vulnerabilità della vittima deve necessariamente essere conosciuta dall’agente (dovendo questi “approfittarsi” della condizione), che invece, solitamente, nelle truffe on-line non ha alcun “rapporto diretto” con la persona offesa, della quale dunque difficilmente conosce la situazione personale.

Secondo la Suprema Corte, tuttavia, non può nel caso di specie neppure ritenersi rilevante la situazione “di tempo”, che solitamente la giurisprudenza ha ritenuto sussistente in relazione ad ipotesi di reato commesse in ora notturna, ove più difficoltosa è la reazione dell’autorità pubblica o delle persone offese (tra le tante, Cass., sez. V, n. 32244/2015).

Nel caso in esame la circostanza aggravante può infatti ritenersi sussistente con esclusivo riferimento alle circostanze di luogo. Per consolidata giurisprudenza di legittimità, infatti, il luogo di consumazione delle truffe online è individuabile in un ben preciso luogo fisico, e cioè quello in cui l’agente si trova al momento della consumazione del delitto (così, ad esempio, Cass. n. 7749/2014). Tale luogo si caratterizza, in particolare, per la distanza da quello in cui si trova l’acquirente. Si tratta, con tutta evidenza, di una caratteristica oggettiva, ben conosciuta dall’agente, che, a parere della Corte, rende la situazione molto simile a quella di un luogo isolato o abbandonato, cioè a quelle circostanze che la giurisprudenza, tradizionalmente, ritiene possano  integrare la “condizione di luogo” rilevante ai fini dell’aggravante in esame (si veda, ad esempio, Cass., sez. I, n. 10268/1996).

Non è sufficiente, però, che la peculiare “condizione di luogo” sia conosciuta dall’agente, che – perché possa ritenersi integrata l’aggravante – deve altresì averne consapevolmente approfittato: ed è proprio questo, a parere della Suprema Corte, che accade nelle truffe commesse via web, ove “proprio la distanza tra il luogo di commissione del reato, ove l’agente si trova ed il luogo ove si trova l’acquirente del prodotto online – che ne abbia pagato anticipatamente il prezzo, secondo quella che rappresenta la prassi di simili transizioni – è l’elemento che consente all’autore della truffa di porsi in una posizione di maggior favore rispetto alla vittima, di schermare la sua identità, di fuggire comodamente, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcune efficace controllo preventivo da parte dell’acquirente; tutti vantaggi che non potrebbe sfruttare a suo favore, con altrettanta comodità, se la vendita avvenisse de visu”.

L’aggravante, dunque, può pienamente ritenersi integrata, nella forma dell’approfittamento delle condizioni “di luogo”. La conclusione in questione può avere, com’è facile immaginare, rilevanti implicazioni pratiche nei processi – peraltro molto frequenti – relativa a truffe online, anche in considerazione della circostanza che la contestazione in forma aggravata comporta la procedibilità d’ufficio del reato.

La conclusione della Corte, peraltro, finisce per dare “nuova dignità” a questo diffusissimo tipo di delitto, la cui gravità è stata in passato spesso sminuita dalla considerazione che, nelle vendite online, l’acquirente si espone volontariamente ai rischi insiti in tale tipo di transazione. Come correttamente osservato nella sentenza in esame, infatti, tale osservazione “sposta incongruamente la messa a fuoco della questione dalla condotta dell’agente a quella della vittima; rispetto a quest’ultima, tuttavia, deve rilevarsi, seguendo la giurisprudenza formatasi su analoghe questioni, che ai fini della sussistenza del reato di truffa, l’idoneità dell’artificio o raggiro non è esclusa dalla mancata diligenza della vittima”.

La truffa online, dunque, non è meno grave solo perché la persona offesa è consapevole del rischio… di essere truffata.

 

 

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