Con la sentenza n. 18473 del 3 maggio 2016 la Cassazione penale ha fatto emergere come, nei processi relativi agli atti persecutori, l’accertamento dello stato di ansia e paura – richiesto dalla norma – passi troppo spesso per una valutazione esente da qualsiasi indice scientifico.
La Cassazione, invero, pur richiamando il consolidato orientamento secondo cui lo stato di ansia può essere accertato dalle dichiarazioni della persona offesa e, in generale, dal complessivo giudizio sull’attendibilità della stessa, auspica un maggiore ancoraggio a dati certi, seppur di natura psicologica, derivanti da accertamenti di natura medica.
Qualora si tenga totalmente fuori il parametro scientifico – continua la Cassazione – si rischia di dover ancorare un elemento richiesto dalla norma ad una serie di criteri ulteriori, non certi, né oggettivi, che possono non corrispondere al dato reale, con grave pregiudizio per l’imputato e la sua difesa, soprattutto per la fattispecie assai grave quale è quella degli atti persecutori.
Trattandosi di un evento naturalistico (l’ansia e la paura ingenerato nella vittima) seppur a carattere psichico – mentale, questo deve essere ancorato il più possibile al sapere scientifico, certamente armonizzato poi da tutti gli altri indici che emergono dal processo, non ultimo le dichiarazione della persona offesa.