La Corte Costituzionale intervenendo circa il problema della legittimità costituzionale dell’art. 545 c.p.c. nella parte in cui non prende l’assoluta impignorabilità della retribuzione necessaria a garantire al lavoratore i mezzi necessari alle sue esigenze di vita (sentenza n. 70/2016), ha riacceso i riflettori sull’annoso problema del bilanciamento degli interessi tra il creditore ed il debitore.
Sul punto il legislatore è intervenuto con il D.L. 83/2015 individuando le soglie di impignorabilità di pensioni e stipendi accreditati sul conto corrente (postale o bancario), fissando tale limiti con riferimento all’assegno sociale, ossia quella parte di pensione necessaria per assicurare a ciascuno la sussistenza dei mezzi necessari per la vita.
Pertanto il nuovo art. 545 c.p.c. prevede che le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al massimo dell’assegno sociale aumentato della metà.
Dunque la parte che eccede tale somme può essere oggetto di pignoramento.
Per quanto riguarda stipendi e/o pensioni accreditate sul conto corrente bancario del debitore, il D.L. 83/2015 ha precisato che:
– se trattasi di somme accreditate sul conto corrente (postale o bancario) prima del pignoramento, esse possono essere pignorate per l’importo eccedente il triplo dell’assegno sociale;
– se le somme sono state accreditate nella stessa data del pignoramento o in data successiva, possono essere pignorate nei limiti sopra indicati e contenuti nel nuovo testo dell’art. 545 c.p.c.
Diversamente, a norma del suddetto Decreto Legge, il pignoramento sarà colpito da inefficacia parziale rilevabile anche d’ufficio.