Così ha definitivamente sentenziato la Cassazione sez. V il 26 Agosto 2016 con la sentenza n. 35540.
Il caso risaliva ad una discussione condominiale sfociata in uno scontro verbale e fisico reciproco, giunta nelle aule del giudice di pace penale.
In tale sede, una delle condomine, certamente esasperata, aveva dato ampio sfogo alle sue motivazioni additando i vicini come “animali”.
Ad esito del giudizio l’imputata veniva quindi condannata per diffamazione, con conferma anche in appello.
Giunta la vicenda innanzi la Cassazione, gli ermellini dichiaravano infondato il ricorso dell’imputata, confermando la sentenza di condanna, argomentato che l’imputata non aveva avuto scrupoli nell’additare i vicino come animali, mostrando mancanza di senso civico e di educazione, caratteristica questa, secondo la comune sensibilità, lesiva della reputazione altrui.
E ciò – continua la Cassazione – senza che la condotta offensiva possa in qualche modo ritenersi attenuata dalla circostanza (seppur vera) dei continui e reciproci litigi, che certamente avranno contribuito ad esasperare l’imputata, la quale in ogni caso risponde del delitto di cui all’art. 595 c.p.