La pronunzia in commento emessa dalla Corte d’Appello di Salerno il 27/11/2015 – n. 1563 – crea un nuovo spunto per affrontare la discussa fattispecie di atti persecutori, introdotta nell’art. 612 bis c.p.
La norma, infatti, pone una serie di “punti oscuri” quanto alla corretta definizione di cosa sia atto persecutorio, lasciando l’interprete sprovvisto di un dato certo ed oggettivo che gli consenta di valutare se, nel caso di specie, si è di fronte ad uno stalking o ad un semplice concorso formale ex art. 81 c.p. di più condotte che, di per sé, possono qualificarsi di molestia o minaccia.
Ebbene, partendo da tale vuoto, in riforma della sentenza di primo grado in cui l’imputato era stato condannato ex art. 612 bis c.p. alla pena di mesi 4 di reclusone per tre episodi di minacce rivolte alla ex coniuge, la Corte chiaramente stabilisce che, per integrare la fattispecie di atti persecutori, è necessario qualcosa in più, ovvero la “connotazione persecutoria degli atti”.
Sostiene il Giudice d’appello che, per aversi il reato di stalking, è necessario che la condotta dell’imputato sia connotata da un intento persecutorio che unifichi e sostenga i singoli atti, dando così vita all’autonoma e più grave ipotesi delittuosa dell’art. 612 bis c.p.