Nel contesto che stiamo vivendo in cui sempre più frequenti sono i casi di femminicidio, ci sentiamo di segnalare e commentare una delle ultime sentenza della Cassazione in tema di atti persecutori.
Con sentenza resa dalla V Sezione penale del Giudice di legittimità il 18 maggio 2016 (n. 20696) si è stabilito che “Per configurarsi il concorso fra il reato di atti persecutori e quello esercizio arbitrario delle proprie ragioni, giacché quest’ultimo certamente contempla un bene giuridico diverso, in quanto finalizzato a tutelare l’interesse dello Stato ad impedire che la privata violenza si sostituisca all’esercizio di funzione giurisdizionale in occasione dell’insorgere di una controversia. Infatti, ciò che caratterizza il reato di cui all’art. 393 c.p. è la sostituzione, operata dall’ente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato e la pretesa arbitrariamente attuata dall’agente deve corrispondere perfettamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico. Nè può trascurarsi il fatto che, diversamente dal reato di cui all’art. 393 c.p., il delitto di atti persecutori è reato ad evento di danno”.
Va ribadito, infatti, che nel reato di ragion fattasi rimangono assorbiti solo quei reati che, pur costituendo di per sé astrattamente reato, rappresentano elementi costitutivi o circostanze aggravanti deprimo, come il danneggiamento nell’ipotesi di cui all’art. 392 c.p., ovvero la minaccia o le semplici percosse nell’ipotesi di cui all’art. 393 c.p.
Ogni fatto che succeda oltre tali limiti, dà vita ad una responsabilità autonoma – come al caso di specie – determinando così un concorso di reati.