Con la sentenza del 07/03/2016 n. 9221 la Sez. III della Cassazione torna ad affrontare il delicato delitto di violenza sessuale delineato nell’art.609 bis c.p.
In accoglimento di un ricorso presentato avverso l’applicazione della misura cautelare del divieto di avvicinamento, la Suprema Corte ha dato del delitto de quo un’interpretazione teleologicamente orientata, meno ancorata alla necessità di prove e maggiormente improntata alla valutazione della percezione psicologica del rapporto sessuale lesivo da parte della vittima.
Cambiando decisamente prospettiva rispetto ad un precedente orientamento, la Cassazione si è focalizzata sulla percezione che la vittima ha dell’atto che subisce, lesivo di quella libertà di autodeterminazione della vita sessuale propria di ciascun individuo.
Muovendo da tale presupposto, la Suprema Corte ha precisato che per configurarsi violenza sessuale non è imprescindibile che l’atto sia volto necessariamente al soddisfacimento della libido dell’aggressore: qualunque atto o comportamento vissuto dalla vittima come prevaricazione della propria sfera privata e sessuale, è validamente idoneo ad integrare il delitto ex art. 609 bis c.p.
Tanto più, continua la Corte, in una fattispecie come quella descritta in cui il rapporto sessuale non può essere scomposto in micro-fatti isolati, pena un’artificiosa ed irreale valutazione della situazione, necessitando invece che il consenso di entrambe le parti perduri per l’intero amplesso, dall’inizio alla fine, e sia pieno e consapevole rispetto ad ogni sua componente; perciò se esso viene meno in un momento qualsiasi del rapporto o in relazione a un qualsivoglia atto del congiungimento sessuale financo all’atto definitivo della eiaculazione, ne rimane travolto l’intero rapporto che, conseguentemente, è viziato ex tunc.