DEMANSIONAMENTO E LICENZIAMENTO

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Con la sentenza n. 4509 del 08/03/2016 la Cassazione ha sancito il seguente principio:

“In caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il datore di lavoro che adduca a fondamento del licenziamento la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore licenziato, ha l’onere di provare non solo che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa, ma anche di avere prospettato al lavoratore licenziato, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un suo impiego in mansioni inferiori, rientranti nel suo bagaglio professionale, purché tali mansioni inferiori siano compatibili con l’assetto organizzativo aziendale insindacabilmente stabilito dall’imprenditore”.

Infatti, al fine di evitare il licenziamento per soppressione del posto di lavoro, non è il lavoratore a dover palesare l’accettazione del demansionamento, ma il datore di lavoro a dover dimostrare la possibilità di un’utilizzazione con mansioni inferiori, con successivo consenso del lavoratore.

Sul punto, peraltro, le SSUU avevano già precisato che in ipotesi di paventato licenziamento, l’adibizione a mansioni inferiori non rappresenterebbe una vera ipotesi di demansionamento, ma se se mai di adeguamento alla nuova situazione di fatto, dovendosi ritenersi le esigenze di tutela del diritto alla conversazione del posto, prevalenti su quelle di salvaguardia della professionalità del lavoratore.

Il consenso del lavoratore, quindi, va considerato valido solo laddove il datore di lavoro, in ottemperanza del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, abbia dapprima prospettato al lavoratore, ove compatibile con la sua professionalità e col nuovo assetto aziendale, la possibilità di un’utilizzazione a mansioni inferiori.

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