L’etichettatura rappresenta il più importante strumento di informazione sulle caratteristiche dei prodotti alimentari. Informazione che deve essere corretta e trasparente, senza indurre in errore il consumatore circa le caratteristiche dell’alimento: lo scopo deve essere quello di tutelare gli interessi delle parti in un contesto di libero scambio delle merci.
Normativa giuridica sull’etichettatura
L’importanza di una corretta etichettature è sottolineata, per quanto riguarda l’ordinamento interno, anche da diversi provvedimenti giurisprudenziali: l’etichettatura e le indicazioni sulle modalità di realizzazione dei prodotti alimentari sono destinate ad assicurare la corretta e trasparente informazione del consumatore e devono essere effettuate in modo da non indurre in errore l’acquirente (Corte di Appello di Firenze, con sentenza n. 2438 del 22.1.2018); la circolazione di alimenti sicuri e sani è un aspetto fondamentale che contribuisce in maniera significativa alla salute e al benessere dei consumatori, il produttore, onde garantire la sicurezza degli alimenti, ha un obbligo, quale operatore professionale, di attenersi al principio di precauzione e di adottare misure proporzionate in funzione delle caratteristiche del prodotto e della sua destinazione al consumo umano, verificando, attraverso controlli a campione, che il componente acquistato risponda ai requisiti di sicurezza previsti e non contenga additivi vietati e pericolosi, prima di ulteriormente impiegarlo quale parte o ingrediente nella preparazione di un alimento finale(Corte di Cassazione, Sentenza n. 30620 del 27/11/2018)
Diversi provvedimenti legislativi regolano l’etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari: in Italia, la norma base è il D.Lgs 109/1992, che definisce l’etichetta di un alimento come “l’insieme delle menzioni, delle indicazioni, delle immagini o dei simboli che si riferiscono al prodotto alimentare e che figurano direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta appostavi o sul dispositivo di chiusura o su cartelli, anelli o fascette legati al prodotto medesimo…”, norma più volte modificata in seguito alla promulgazione di altri provvedimenti, a partire da quelli di natura comunitaria.
Tra i provvedimenti di natura comunitaria, quello che più ha inciso, almeno in apparenza, è il Regolamento Europeo 178/2002, in vigore dal 1 gennaio 2005, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare. Il Regolamento impone che tutte le aziende alimentari e mangimistiche che operano sul territorio europeo dispongano di un sistema di rintracciabilità di alimenti e mangimi, il cui cardine centrale sono gli articoli 17, 18 e 19.
E’ bene sottolineare che il Regolamento ha imposto un sistema integrale di rintracciabilità dei prodotti, ma non di tracciabilità. Nello specifico, viene sancito l’obbligo di tracciare il percorso di alimenti, mangimi, animali destinati alla produzione alimentare o di qualunque altra sostanza destinata a far parte di un alimento o di un mangime in tutte le fasi della catena alimentare, dalla produzione fino alla lavorazione e alla distribuzione; i soggetti obbligati sono tutti gli operatori coinvolti nella filiera produttiva, cioè coloro che producono, trasformano, vendono, trasportano, ecc.
In altre parole, la rintracciabilità è la possibilità di risalire alla storia di un prodotto alimentare, che si tratti di un mangime, di un additivo, di un ingrediente o di una materia prima, ricostruendo qualsiasi evento si sia verificato lungo tutti i diversi passaggi della filiera attraverso un’identificazione documentale universale e oggettiva; diversamente, la tracciabilità alimentare è la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione” – (Regolamento 178/2002/C Art. 3 punto15).
Di fatto, potrebbe sembrare una questione di sfumature lessicali, ma la differenza ha rilievi anche di tipo sostanziale: infatti, sono ancora pochi gli alimenti che hanno l’obbligo di indicare l’origine in etichetta e sono principalmente alimenti non trasformati.
In tutti gli altri casi è molto difficile scoprire la provenienza degli ingredienti, a meno che i produttori non decidano di dichiarlarla spontaneamente (cosa che succede, in generale, quando questa è percepita come un elemento qualificante del prodotto). Inoltre, su questo aspetto il marketing spesso non gioca pulito, facendo credere al consumatore provenienze non veritiere. La legge impone di dichiarare in etichetta soltanto l’indirizzo del produttore o del distributore, che non è detto che corrisponda a quello di provenienza delle materie prime. Anche il codice a barre, da molti ritenuto fonte di questa preziosa informazione, in realtà non rivela granché: le prime due o tre cifre, infatti, si riferiscono al Paese dove è stato registrato il marchio dell’azienda, che può benissimo trovarsi a migliaia di chilometri di distanza dal luogo di produzione, di raccolta o di allevamento.
Su questo e su molti altri aspetti dell’etichetta, dalle immagini agli slogan sulla confezione, si gioca una partita non del tutto corretta: troppo spesso il consumatore è tratto in inganno da etichette che riportano dizioni che richiamano all’italianità quando, invece, il prodotto nasce da materie prime straniere.
Vero è che l’art. 16 – rubricato Presentazione – del Regolamento prevede che Fatte salve disposizioni più specifiche della legislazione alimentare, l’etichettatura, la pubblicità e la presentazione degli alimenti o mangimi, compresi la loro forma, il loro aspetto o confezionamento, i materiali di confezionamento usati, il modo in cui gli alimenti o mangimi sono disposti, il contesto in cui sono esposti e le informazioni rese disponibili su di essi attraverso qualsiasi mezzo, non devono trarre in inganno i consumatori
La norma, spesso, è rimasta più una dichiarazione di principio che la traduzione di effetti sostanziali; con una completa tracciabilità del prodotto i consumatori europei dovranno avere tutte le informazioni necessarie per scegliere cosa comprare. Questa misura tutela anche i produttori agricoli che lavorano sulla qualità, l’eccellenza e la genuinità degli alimenti.
Come noi sappiamo, il sistema agroalimentare italiano è una delle più importanti risorse da salvaguardare e potenziare perché rappresenta l’eccellenza dei nostri territori nella misura in cui non è solamente un settore destinato alla produzione di alimenti, ma identifica un patrimonio unico di valori e tradizioni di cultura e qualità di notevoli potenzialità. L’Italia vanta il primato, fra i Paesi dell’Unione Europea, di una tutela della qualità delle produzioni agroalimentari elevata, si pensi che il Paese ha il maggior numero di prodotti a marchio registrato come la denominazione d’origine protetta, l’indicazione geografica e protetta e la specialità tradizionale garantita che sono oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione. Tale valore può essere tutelato solo attraverso la promozione della qualità, della tracciabilità degli alimenti e dall’ampliamento delle informazioni ai consumatori, anche al fine di contrastare il dilagare delle pratiche commerciali sleali e di contraffazione dei prodotti agroalimentari.
Con l’approvazione della legge n. 4 del 3 febbraio 2011 in materia di etichettatura e di qualità dei prodotti alimentari viene proposto un sistema incentrato sull’esigenza di promuovere il sistema produttivo nazionale nel quale la qualità dei prodotti è frutto del legame con i territori di origine, e sulla pari necessità di trasmettere al consumatore le informazioni sull’origine territoriale del prodotto, alla base delle dette qualità. Il fine di assicurare una completa informazione ai consumatori è, infatti, alla base delle norme (artt. 4 e 5) che dispongono l’obbligo, per i prodotti alimentari posti in commercio, di riportare nell’etichetta anche l’indicazione del luogo di origine o di provenienza. Specificatamente, per i prodotti alimentari non trasformati, il luogo di origine o di provenienza è il Paese di produzione dei prodotti; per i prodotti trasformati la provenienza è da intendersi come il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale, il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalente utilizzata nella preparazione o nella produzione. L’etichetta deve altresì segnalare l’eventuale utilizzazione di ingredienti in cui vi sia presenza di organismi geneticamente modificati, OGM, dal luogo di produzione iniziale fino al consumo finale. Il testo è poi corredato con disposizioni sul controllo (demandato alle Regioni) e un sistema sanzionatorio.
Etichettatura in UE
A seguire, anche l’Unione Europea ha apportato, in tema di indicazioni, delle modifiche al regime di etichettatura dei prodotti agroalimentari. In particolare, il Regolamento n. 1169/2011, relativo alla fornitura d’informazioni sugli alimenti ai consumatori ha modificato la precedente normativa, al fine di semplificarla e migliorare il livello d’informazione e di protezione dei consumatori europei. Le nuove disposizioni, entrate in vigore tra il dicembre 2014 e il 2016, rispondono alla necessità di aumentare la chiarezza e la leggibilità delle etichette. Il regolamento si applica a tutti gli operatori del settore alimentare in tutte le fasi della catena e a tutti gli alimenti destinati al consumo finale, compresi quelli forniti dalle collettività (ristoranti, mense, catering) e quelli destinati alla fornitura delle collettività; introduce alcune novità di rilievo, quali l’obbligo di indicare la provenienza e l’origine dei prodotti, la leggibilità dell’etichetta, e consente agli Stati membri di adottare “disposizioni ulteriori” (art. 39 del Regolamento) per specifici motivi: protezione della salute pubblica e dei consumatori, prevenzione delle frodi, repressione della concorrenza sleale, protezione dei diritti di proprietà industriale e commerciale e tutela delle indicazioni di provenienza e denominazioni di origine controllata.
Un ulteriore passo in avanti: il prossimo 1° aprile (2020) entrerà in vigore il nuovo regolamento UE 2018/775, recante modalità di applicazione dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori, per quanto riguarda le norme sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento, riguardante le norme sull’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza dell’ingrediente primario di un alimento.
Almeno a livello europeo, pertanto, negli ultimi anni sono stati fatti passi in avanti, soprattutto in risposta alle esigenze del settore agroalimentare italiano, con un disciplina che coinvolge l’Unione Europea (caso a parte dovrà da questo punto di vista essere considerato il Regno Unito, in conseguenza della c.d. Brexit: infatti, l’uscita del Regno Unito senza accordi con l’Unione Europea comporta che tutta la normativa Ue non sarà più vigente, con conseguente caducazione anche degli effetti giuridici delle registrazioni dei marchi di origine)
Eppure, nonostante le iniziative restrittive sulle etichette, proposte di legge, regolamenti comunitari e recenti condanne agli attori delle contraffazioni alimentari, il fenomeno sembra non arrestarsi.
Etichettatura e contraffazione
Per fare chiarezza però bisogna precisare che esistono varie tipologie di contraffazione:
– Falsificazione del marchio o dell’indicazione di provenienza geografica o della denominazione di origine e consiste dell’apposizione di un dato falso sull’alimento o sul suo packaging. Questo tipo di contraffazione risulta maggiormente diffuso all’estero, rispetto all’Italia, ma compromette comunque il nostro Bel Paese, e ha comportato infatti lo sviluppo dell’Italian Sounding, un fenomeno che consiste nell’utilizzo di etichette, elementi grafici come ad esempio simboli, colori o figure sul packaging del prodotto che vanno ad evocare l’italianità delle origini del prodotto stesso. Così, i prodotti hanno marchi o nomi che suonano italiani, ma effettivamente non lo sono. In tal caso, si ha la figura delle c.f. Frodi commerciali ossia La frode nell’esercizio del commercio che si verifica quando “chiunque, nell’esercizio di un’attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita…” (art. 515 CP); in questo caso, dunque, non vi è alterazione della qualità dell’alimento tale da renderlo nocivo, ma un illecito profitto a danno del consumatore per differenti dichiarazioni circa la quantità o la provenienza ]
– Falsificazione, adulterazione o sofisticazione dell’alimento: la creazione di un alimento con sostanze diverse per qualità o quantità da quelle che normalmente concorrono a formarlo che possono giungere, nei casi più estremi, fino alle c.d. Frodi sanitarie, ossia le azioni compiute che rendono nocivo un alimento e costituiscono un pericolo per la salute pubblica. Tra i “delitti contro l’incolumità pubblica”, del Titolo VI, capo II del Codice Penale, gli artt. 439-440-442 e 444 del Codice Penale definiscono come “delitti di comune pericolo mediante frode” i casi di avvelenamento, adulterazione, contraffazione di sostanze alimentari. Commette reato anche chi detiene per il commercio o pone in commercio o distribuisce per il consumo acque, sostanze o cose da altri avvelenate, adulterate o contraffatte in modo pericoloso per la salute pubblica”. Il reato si configura anche per il solo fatto di esporre (porre in commercio) sostanze pericolose, pur se non sono state ancora vendute, oppure anche se si tratta di distribuzione gratuita.
Questa breve disamina, di alcuni tra i più importanti fattori di criticità del ruolo della etichettatura nel campo agro-alimentare, non ha l’ambizione di dare una risposta esaustiva, sia a livello di diritto vigente, sia de iure condendo, alle molteplici sfaccettature, ma si pone più che altro l’obiettivo di sottolineare ed evidenziare alcuni degli strumenti di tutela, controllo e repressione. Rimane fermo che la principale e più importante strada da percorrere è quella della prevenzione e della cultura consumeristica: in definitiva la trasparenza e l’educazione sono le chiavi di un reale processo di “consumer empowerment” (intesa come restituzione del potere decisionale nelle mani del cliente) preziosissimo anche nella tutela della salute pubblica.
Articolo su rivista on line Mondo Mangiare – il magazine del gusto
di Avv. Carmine Laurenzano