La Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 1800/2016 è intervenuta sulla vendita de prodotti finanziari celati da polizze vita, ma in realtà indicizzati all’andamento dei mercati.
I giudici hanno precisato che, in casi simili, il contratto sottoscritto è nullo qualora si provi che la compagnia assicurativa – oltre ad informare adeguatamente il consumatore sui rischi del contratto – non abbia provveduto a valutare anche il c.d. profilo di rischio del singolo investitore, così come previsto dalla disciplina in materia di intermediazione finanziaria.
E questo, precisa la Corte, anche per i contratti siglati prima che la legge 262/2005 ricomprendesse espressamente negli obblighi informativi i “prodotti finanziari” emessi dalle assicurazioni.
Spiega, infatti, la Corte di appello che per comprendere la vera natura della polizza bisogna guardare all’effettiva incidenza del rischio demografico, valutando in quale misura la prestazione sia correlata all’andamento dei mercati finanziari ed in quale misura, invece, sia correlata ai versamenti eseguiti dall’assicurato e ad un evento attinente alla vita umana.
Nel contratto di assicurazione sulla vita, a norma dell’art. 1882 c.c. l’assicuratore si obbliga a versare un capitale o una rendita dietro il pagamento di un premio al verificarsi di un evento della vita umana; diversamente un prodotto finanziario ha un andamento legato alle oscillazioni dei mercati.
Ci comporta una grandissima differenza: mentre per le polizze vita l’investimento finanziario ha natura “stabile”, i prodotti finanziari camuffati da polizze vita hanno per se stesse natura incerta, essendo legate alle fluttuazioni, positive o negative, del mercato bancario.