La registrazione di una conversazione tra presenti non è reato e non richiede nessuna preventiva autorizzazione del GIP.
Essa, inoltre, può essere utilizzata nell’eventuale successivo processo.
E’ quanto ha stabilito la Sez. II penale della cassazione con la sentenza n. 24288 del 10/06/2016.
La Corte ha evidenziato che, in caso di registrazione di un colloquio ad opera di uno dei partecipanti, o di chi sia ammesso ad assistervi, difetta la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso solo da chi palesemente vi partecipa o assiste.
Ne segue la legittima acquisizione delle registrazioni nel processo attraverso l’art. 234 comma 1 c.p.p. che qualifica come “documento” tutto ciò che rappresenta fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.
La registrazione, infatti, è contenuta su un nastro che può certamente definirsi la documentazione fonografica del colloquio intercorso, tale da integrare quella prova che diversamente non potrebbe essere raggiunta e può rappresentare una forma di autotutela e garanzia per la propria difesa, con l’effetto che una simile pratica finisce col ricevere una legittimazione costituzionale (Sul punto già SSUU 28/05/03 n.36747).
Nella fattispecie la registrazione è stata effettuata dall’imputato di propria iniziativa e senza l’ausilio di strumentazione fornita dalla polizia giudiziaria, con conseguente legittima acquisizione della medesima al processo.